Ruolo da sempre ambito dagli attori di ogni latitudine, il vecchio Arpagone è uno dei personaggi più famosi di tutti i tempi. Per disegnare un personaggio divenuto di fatto leggendario, Molière non ha fatto altro che prendere il tema già trattato da Plauto nella Aulularia, che è il racconto di un vizio, sviluppandolo attraverso il suo vertiginoso talento drammaturgico.
La storia è arcinota: l’avaro è un maniacale risparmiatore, patologicamente attaccato al possesso fisico, quasi carnale, dell’oro, e si priva di tutto pur di accumulare danaro, per cui non si fa scrupoli a praticare anche l’usura.
Costringe a vita grama se stesso e la sua famiglia e chi vi ruota attorno, lesinando su tutto e concentrando la propria attenzione e il proprio sentimento solo sui denari nascosti in giardino. Nonostante la sua maniacale taccagneria, i buchi indecorosi nelle livree dei servi, i cavalli che rischiano di morire di fame, nonché l’età avanzata, ha pure velleità matrimoniali e mette gli occhi su una giovane vicina di casa, già amata dal figlio.
La circostanza sarà il pretesto per Molière per narrare una storia esilarante e profondamente significativa, nella quale costringerà il vecchio taccagno a sacrificare l’intera sua tranquillità al fallace mito della ricchezza, attraverso l’interazione con altri memorabili personaggi tutti dipinti con la proverbiale genialità che gli è stata riconosciuta nei secoli e a tutte le latitudini.